Siloteca Molfetta

Un rarissimo museo del legno nel sud Italia una “Siloteca”. Affidati alla CIART i lavori di bonifica dal tarlo.

Uno spazio espositivo rarissimo nel suo genere è l’unica in tutta Italia meridionale. È il curioso caso della siloteca di Molfetta: si tratta di un vero e proprio museo del legno che racchiude sezioni di alberi provenienti da ogni parte del mondo, rari oggetti d’epoca in legno e un prezioso cimelio come la bacchetta da direttore d’orchestra di Riccardo Muti.

Tarli SilotecaAntitarlo SilotecaSiloteca Molfetta

La mostra permanente è dedicata a Raffaele Cormio, xilologo molfettese giramondo. La sua immensa passione per il legno nacque a inizio secolo negli Stati Uniti, dove da emigrato si trovò spesso di fronte al problema di individuare i materiali da usare in una fabbrica di matite che gli aveva dato lavoro. Per ironia della sorte nel 1952 morì dopo essere stato colpito da un grosso ramo di cedro.
La siloteca (ad accesso gratuito) è dislocata in tre sale nel piano terra di palazzo Giovene, edificio cinquecentesco che sorge in piazza Municipio, all’entrata del borgo antico. La posizione così centrale (a portata di turista) compensa in parte le scarse indicazioni stradali per arrivarci e le poche righe dedicate dal Comune sul sito istituzionale.
La prima stanza “parla” essenzialmente italiano. Spicca innanzitutto una teca con diversi tipi di sughero, molti dei quali giunti da Tempio Pausania, storico distretto industriale sardo attivo nel trattamento di questo tessuto vegetale. A poca distanza si notano le prime rodelle, cioè le sezioni di alberi: sono state recuperate negli Stati Uniti e appartengono a dei tulipier, piante ornamentali a sviluppo rapido coltivate anche in Europa. È una tipologia piuttosto importante in Italia, visto che un esemplare di tulipier piantato in provincia di Lecco viene considerato l’albero più alto dell’intera Penisola grazie ai suoi 52 metri di estensione.
Le rodelle costituiscono il leitmotiv della seconda sala. Se ne notano subito due sulla sinistra, una di castagno francese e una di zingana gabonese, messe a confronto per evidenziare le modalità di espansione dei tronchi: nel primo caso a ciascun anello di accrescimento coincide un anno di vita della pianta, nel secondo la corrispondenza non è automatica (la zingana dà vita a più anelli nell’arco di 12 mesi).
Dal Gabon sono state spedite la maggior parte delle altre sezioni. Ad attirare la nostra attenzione è la rodella di afrormosia caratterizzata da un contrafforte, espansione basale del tronco che aumenta la stabilità dell’albero ma determina un deprezzamento del legno. Difficile rimanere indifferenti poi all’imponenza del sipo, il cui fusto può raggiungere i due metri e mezzo di diametro.
Degna di nota è anche la rodella di abura, che pur non presentando contrafforti spesso fornisce un legno poco apprezzato dai commercianti per via del “cuore cavo”, un grosso spazio vuoto che tende a crearsi all’interno del tronco. In generale un’altra causa di abbassamento del valore di mercato sono le spaccature del fusto: è il caso della massiccia sezione di obeche posta in fondo alla stanza, “sfigurata” da una profonda crepa.
Il terzo e ultimo vano si apre con una vetrina colma di insetti imbalsamati: ci sono termiti, tarli e tanti altri coleotteri xilofagi, animali che si nutrono del legno danneggiandolo in modo serio. Spuntano un po’ ovunque vecchi arnesi in legno: astucci degli anni 60, trottole, posaceneri e persino una cassetta didattica del ventennio fascista contenente 30 campioni di legnetti diversi.
Non potevano mancare attrezzi di lavoro della tradizione marinara molfettese. In una delle teche salta all’occhio in particolare un segnalatore luminoso degli anni 30 realizzato in castagno, molto resistente all’azione corrosiva della salsedine. Dello stesso materiale è composto il bozzello, strumento navale utilizzato dai pescatori per tirare efficacemente i cavi. Infine tra i cimeli esposti c’è una sorpresa per gli amanti della grande musica: una bacchetta da direttore d’orchestra di Riccardo Muti, donata proprio dal maestro. Fu ricavata da diversi tipi di legno nordamericani e sul retro reca la scritta “Chicago Symphony Society”. Un piccolo regalo da parte del direttore che a Molfetta trascorse la giovinezza prima di farsi conoscere dal mondo intero.

(Fonte: barinedita.it)